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Immagine del redattoreLegambiente PT

Azienda apistica "Simone Zarri"

Aggiornamento: 23 ott



Cosa vuol dire fare apicoltura biologica? Finché si parla di agricoltura, oggi il concetto è sempre più chiaro fra l’opinione pubblica. Ma quando si parla dei prodotti dell’alveare la questione diventa un po' più fumosa.


Per scoprire questo e molto altro, siamo andati a conoscere l’azienda agricola Zarri e il suo titolare, Simone Zarri.


Una storia nata un po' per passione e un po' per un caso fortuito, che forse caso non è. Com’è iniziata?

Proprio così. La storia della nostra azienda comincia negli anni 80 con mio padre Mauro, che all’epoca è in tutt’altro settore, perché è impresario edile. Un giorno un alveare sciama in un cantiere dove sta lavorando, e allora, da sempre appassionato al mondo delle api, mio padre decide di prendere con sé questo alveare e si mette in società con un amico apicoltore.


Fra 1989 e 1990 lascia l’edilizia e si dedica a tempo pieno all’apicoltura. Nel 1994 entra in CONAPI (Consorzio Nazionale Apicoltori) e a partire dal 2000 sceglie la strada del biologico. Finché nel 2009 lui va in pensione e io decido di prendere in mano l’attività, che oggi porto avanti insieme a mia moglie.



Quali sono i prodotti delle vostre api?

Abbiamo circa 400 alveari, di cui 250-300 in produzione e 100-150 come nuclei che destiniamo alla vendita. Teniamo le arnie nei territori di cinque Province, cioè Pistoia, Lucca, Siena, Grosseto e, proprio a partire dal 2024, anche Pisa. Nel pistoiese le abbiamo collocate nei terreni del Podere di Monaverde, a Santonuovo, Signorino, Val di Lima, Piteccio, Casore del Monte e San Marcello.


Produciamo miele nelle varietà che questi territori hanno da offrire nella loro tipica biodiversità. Castagno, corbezzolo, melata, acacia, trifoglio, edera, sulla, millefiori, tiglio, girasole, erica.


Facciamo anche dei preparati particolari, tipo miele e peperoncino, miele e zafferano, miele e nocciole intere tostate. O anche il nocciomiele, una crema spalmabile con miele, pasta di nocciole e cacao. Oppure l’apigola, fatto con miele, propoli glicerica, essenza di eucalipto e cajeput: utile per curare sintomi tipo il mal di gola.


In più, altri prodotti come cera, pappa reale, propoli e polline di castagno.


Rivendiamo tutto direttamente nel nostro punto vendita, che è accanto al laboratorio, allo spaccio del Podere di Monaverde, in fiere e mercatini, e all’ingrosso se ci capitano delle eccedenze.



Che cosa significa fare apicoltura biologica?

L’accorgimento principale è la posizione delle arnie: le collochiamo in zone che non siano inquinate. Quindi sicuramente lontane da strade, industrie, o aziende agricole non biologiche.


Un altro punto è la nutrizione delle api. Nel convenzionale vengono nutrite dall’uomo per aumentare la produzione. Noi, invece, le nutriamo solo in caso di emergenza. Per il resto, sono libere di nutrirsi da sole quando e come meglio credono con il miele che producono: non per niente le arnie sono divise in due parti, corpo e melario, dove il melario è la parte in cui le api accumulano il miele in eccesso, che è proprio quello che noi raccogliamo, il corpo contiene invece il miele che serve a loro.


Per la loro cura, per esempio contro l’acaro Varroa destructor, invece di pesticidi sintetici usiamo acidi organici come ossalico e formico, che si trovano già normalmente nel miele. E utilizziamo arnie in legno piuttosto che polistirolo, per evitare l’inquinamento da microplastiche sia delle api che di tutti i prodotti dell’alveare.


Quando viene fatta la smielatura, non ci devono essere covate nel favo, e per evitare questo si applica uno sportellino escludi-regina fra corpo e melario. Il miele non viene scaldato per mantenerlo liquido, perché se ne alterano i principi nutritivi, e viene confezionato in barattoli di vetro, sempre per evitare rischi di contaminazione da altri tipi di materiale.


Anche l’origine delle api fa la differenza. Noi alleviamo api della specie Apis mellifera ligustica, originaria dell’Italia. Ma nel convenzionale capita di utilizzare specie non locali però più produttive, o di fare ibridazione fra specie: una pratica che, però, provoca inquinamento genetico e perdita di biodiversità.


Biologico e convenzionale: secondo te ci sono vantaggi e svantaggi fra i due in termini di produzione, guadagno e carico di lavoro?

Non tanto, in realtà. Un miele che produco con metodo biologico può arrivare ad avere un ricarico del 10% rispetto a uno non biologico. La mortalità invernale delle api è simile nei due metodi. Con una produzione su larga scala puoi rivendere alla grande distribuzione ma, se attivi vari canali di vendita e promozione, non hai nemmeno bisogno di passarci dalla GDO. Anzi, se sei un piccolo produttore, probabilmente hai molto meno lavoro d’ufficio, e questo in apicoltura è un bene, perché le arnie hanno bisogno di attenzioni continue.



Si parla spesso di moria di impollinatori, soprattutto di api. Cosa dice chi è del settore come voi?

Dico che lo confermo, e come me molti altri apicoltori. Sicuramente una causa sta nell’utilizzo di pesticidi, in particolare neonicotinoidi. Ma ho osservato anche cause più sottili, meno evidenti: molte api muoiono perché non trovano abbastanza nutrimento; in altre parole, perché i fiori sono meno nettariferi. Succede quando volano sui fiori delle coltivazioni, e forse il motivo sta nel fatto che spesso si tratta di varietà ibride. E succede anche con le piante selvatiche, cosa che non accadeva fino a pochi decenni fa, e che ha subito un’impennata dal 2019: quali siano le cause di questo, però, è ancora discusso.


E il sostegno dei finanziamenti pubblici non migliora la situazione…

No, infatti. La PAC 2023-2027 prevede dei sussidi per l’apicoltura ma, come per l’agricoltura in generale anche negli anni passati, questi sussidi dipendono dagli ettari coltivati, non dall’effettiva produzione. Il problema è doppio: primo, in apicoltura non ha molto senso usare il parametro degli ettari di terreno; secondo, questo sistema favorisce il fenomeno di aziende che ottengono sussidi per il solo fatto di possedere molti ettari, anche se nei fatti la produzione apistica è scarsa. I piccoli apicoltori, quindi, rimangono esclusi da questi sostegni.



Apicoltura ma non solo, comunque: svolgete anche altre attività connesse

Vero. Organizziamo laboratori didattici per bambini, nell’apiario che abbiamo nei terreni del Podere di Monaverde.


Partecipiamo a “Mielerie Aperte”, un progetto promosso da UNAPI (Unione Nazionale Associazioni Apicoltori Italiani): due giornate, 19 maggio e 17 novembre, in cui tutte le aziende apistiche d’Italia che aderiscono al progetto aprono le loro porte al pubblico, per far conoscere il mondo dell’apicoltura.


Prossimamente, ci piacerebbe anche aprire un apiario olistico. Una struttura fatta come una capanna, collegata esternamente con delle arnie, in modo che nell’ambiente interno si possano diffondere i suoni e gli odori degli alveari. Tutto questo, sommato alla degustazione di prodotti delle api e a pratiche come yoga, reiki o meditazione, lo rende un piccolo e particolare spazio del benessere che passa attraverso l’apiterapia.




Di Enrico Becchi







Il progetto è realizzato grazie al bando "Siete Presente. Con i giovani per ripartire - 2024", a valere sul progetto “Giovanisì.it”, promosso dal Cesvot e finanziato da Regione Toscana - Giovanisì, in accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale, con il sostegno della Fondazione Caript



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