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Visita all'azienda "Ninfe di Bosco"



Allevamento sostenibile, economia di montagna, imprenditoria giovanile e femminile, scommettere sulle proprie passioni. Tutto questo è “Ninfe di Bosco”, un allevamento di capre camosciate che si trova a Villa di Cireglio.


Per scoprire la sua storia abbiamo incontrato Diamante Santini, la sua giovane titolare.

 

Dal liceo classico, all’archeologia medievale, all’allevamento. Com’è nata “Ninfe di Bosco”?

 

Diciamo che ho sempre avuto una grande passione per la natura e per gli animali in particolare, fin da piccola. Ma anche per le materie umanistiche, e infatti è per questo che ho scelto un liceo classico e l’indirizzo di archeologia medievale all’università.


Nel 2015 prendo il diploma, ed ecco che mio babbo, a sorpresa, decide di regalarmi due caprette. Scopro che accudirle mi piace più di quanto avessi mai pensato, e allora, dato che in quel periodo esce un bando nell’ambito del progetto “GiovaniSì” della Regione, che finanzia imprese agricole giovanili, decido di partecipare. E lo vinco!


Così comincia l’attività di “Ninfe di Bosco”. L’università la inizio comunque, e la finisco nel 2021. Ma, da quel momento in poi, mi dedico all’allevamento a tempo pieno.



Nel nome dell’azienda, “bosco” si riferisce al contesto in cui si trova, circondata da acacie e castagni. Le “ninfe” sono le mie caprette, è stata la mia passione per il mito a farmele chiamare così.



Quante sono queste “ninfe” e che prodotti ti regalano?

 

Le “ninfe” sono 70 capre camosciate delle Alpi. Ma insieme a loro ci sono anche 2 vacche di razza Jersey.


Con il latte delle prime, fra febbraio-marzo e settembre-ottobre, produco formaggi freschi, semi-stagionati, stagionati, ricotta, stracchini e dolci caseari tipo pannacotta. Dal latte delle seconde, in inverno, ricavo caciotte, stracchini e anche qui formaggi stagionati.


In questo modo riesco a avere una produzione che rispetta la stagionalità degli animali, e allo stesso tempo è variegata e costante.


Tutto quello che produco lo faccio a partire da latte crudo, quindi non pastorizzato. In più, il mio è un caseificio agricolo, che vuol dire che trasformo io stessa il latte prodotto in azienda. Per la stagionatura ho anche una vecchia cantina scavata nell’arenaria che, in pratica, mi regala una stagionatura in grotta.



Il rapporto che hai con loro è molto di più di un tipico rapporto “allevatore-animali”.

 

È vero. Tanto che quasi mi arrabbio quando qualcuno le chiama “bestie”. Per me sono come amiche, e infatti le ricopro delle migliori attenzioni possibili.


Quando nascono, i capretti li lascio per circa 2 mesi insieme alle mamme, prima di svezzarli. Dalla nascita in poi, tutte le capre crescono naturalmente. Mangiano quando vogliono, erba autoprodotta o acquistata da aziende della zona. La mungitura la faccio 2 volte al giorno, o a mano o meccanica, se siamo nel pieno della lattazione.


Evito assolutamente le scornature. Si muovono in spazi che tengo continuamente puliti, e che sono ampi, dove sia le capre che le vacche sono libere di muoversi come e quando vogliono da dentro a fuori la stalla e viceversa.


Per le loro cure mi affido ai consigli di un veterinario. Per la riproduzione, quella delle capre lascio che avvenga naturalmente. Quella delle vacche la faccio in vitro, solo perché in questo momento non avrei la possibilità di sostenere un toro.

 

È anche per far conoscere tutto questo che hai associato a quella agricola anche altre attività, giusto?

 

Sì, giustissimo. Organizzo visite guidate, degustazioni, laboratori didattici, compleanni. Sia per adulti che per bambini. A volte mi sono capitati anche addii al celibato o al nubilato. Che comunque non sono delle agrifeste, piuttosto delle occasioni per vivere insieme a me e alla mia famiglia quella che è la vita di allevamento.


In più, nel 2021, da una piccola vecchia stalla adiacente a casa mia, ho ricavato degli alloggi per 2-4 persone, in stile agriturismo.


Tutto questo, appunto, non è pensato solo per essere un servizio in più. Lo scopo è prima di tutto quello di trasmettere. Quello di far capire alle persone cosa c’è davvero dietro un formaggio o una ricotta. O che cosa significa fare allevamento in un modo che sia rispettoso di animali e ambiente.



Una ragazza, sulla montagna pistoiese che, anche senza esperienza alle spalle, per passione decide di dedicarsi all’allevamento. È stato un percorso in salita o in discesa?

 

Direi un po' e un po'. Come in ogni percorso, probabilmente.


Ho incontrato dei pregiudizi, questo è vero. Più che altro legati alla giovane età, o al fatto che l’allevamento è tipicamente visto come un’attività maschile.


Ma forse gli ostacoli più grandi sono stati interiori, piuttosto che esteriori. Perché nella mia famiglia non c’è nessuno con un’esperienza nell’allevamento, e questo vuol dire che, se anche i familiari mi hanno aiutato tantissimo – e continuano a farlo – ho dovuto imparare tutto da sola, correggere gli errori, vincere dubbi e scoraggiamenti che mi facevano venire l’inesperienza che avevo alle spalle e le sfide che avevo di fronte.


Però oggi posso dire che tutto questo mi ha fatto crescere. Sento che sto facendo la cosa giusta, nei modi giusti. Vedo che le mie caprette stanno bene, e che le persone intorno a me apprezzano molto quello che faccio. E questo mi dà tanta soddisfazione!




Di Enrico Becchi

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